INTERVISTA: LAIKA VENDETTA

Laika Vendetta: due dischi, un Ep, molte date alle spalle e un prossimo disco in arrivo. Cosa ci sarà di nuovo?

Stiamo lavorando a questo disco da due anni. Con tempi molto dilatati, relativi. Siamo passati dall’intuizione e la composizione d’istinto ad un lavoro di fino, artigianale. Prendiamo un brano che ci sembra pronto e ogni volta, suonandolo, aggiungiamo sfumature, togliamo ciò che eccede, soprattutto togliamo, perché vogliamo che questo sia un disco essenziale. Anche molto ricco però, di dinamiche, di spazi, di musica e ritmo. Feroce si, ma in modo diverso da Elefanti in Fuga. In un modo più maturo, forse, meno a larga gittata, più strategico.

Di cosa parlerà?

Dopo Elefanti in fuga ci siamo presi una pausa. Il disco non ha portato il numero di date che ci aspettavamo, abbiamo avuto alcuni problemi con la comunicazione e il disco non è riuscito ad avere la visibilità che speravamo. L’abbiamo vissuta come una battuta d’arresto e ci siamo presi una pausa per elaborare la frustrazione. Nel frattempo abbiamo rilasciato l’ Ep Le tue Fobie, prima di allontanarci per un po’ dall’ambiente musicale, dai suoi meccanismi usa e getta. Ci siamo raccolti in meditazione. Ognuno ha portato avanti le proprie passioni, spesso opposte, ma ce lo siamo permessi. C’è chi si è buttato sul lavoro, chi ha messo su un progetto personale, chi ha messo su famiglia (Luca è da poco papà!). Io, personalmente, sono andato alla ricerca di me stesso, soprattutto quando ho scoperto di dovermi occupare di una brutta malattia. Sono stato in ritiro con alcuni maestri, spirituali e non solo, sono stato in ritiro con me stesso. Ho ereditato da entrambe le esperienze una grande ricchezza. Il disco parlerà di questo.

Delle vostre professioni fuori dalla musica?

Haha, anche. La verità è che siamo tutti sulla o oltre la soglia dei trentanni e questo ci ha portato ad una sentita, brutale, riflessione. Una spietata presa di coscienza. Sulle vite che facciamo, su quello che avremmo fatto se non avessimo creduto così tanto a questo progetto, a ciò a cui abbiamo rinunciato. Per avere cosa? Personalmente dico per avere la libertà di giocare con la musica, ma questo l’ho capito solo con la malattia. C’era il rischio, secondo i medici, che non cantassi più. Puoi immaginare la paura e la disperazione. Il rischio di perdere quell’atto magico di cantare su un palco. Quando ho scoperto che potevo ancora cantare è cambiato il mio modo di vedere la musica. È un dono, un privilegio, uno strumento incredibile. E io che ho la fortuna di poter cantare per una band di amici professionisti mi sono detto: che questa mia fortuna possa essere di beneficio per tutti gli esseri. Così, per tornare alla professione, la mia professione è quella di counsellor, ed ho cercato di farlo attraverso i nuovi brani. Sono spunti di riflessione, osservazioni sul mondo e sulle persone, una mano tesa per i momenti di confusione, un invito a lasciare tutto, anche solo per un momento, e seguirsi. Sono strumenti. Non dimentichiamo, però, che è anche e soprattutto un gioco. E musica. E noi abbiamo cercato di giocare sul serio, ma con un sorriso in più rispetto al passato.

Per lavorare a questo disco vi siete presi una pausa. Non vi mancano le situazioni live?

Incredibilmente, inimmaginabilmente si! Questa scelta di mettere da parte i live per concentrarci esclusivamente sul nuovo disco è stata fruttuosa, ma anche frustrante. Spesso ci dicevamo: non mi ricordo più cosa si prova sul palco, come si fa. Anche questo è stato utile. Abbiamo anche rinunciato ad alcune date, poco pagate, non pagate, male organizzate. È stato un atto politico: più che lamentarsi, bisogna imbracciare l’eroe e agire. Imparando anche a rinunciare ad una tentazione, così allettante come quella di suonare dal vivo, pur di rispettare se stessi e la propria dignità, di musicisti e performer. Noi facciamo musica, che piaccia o no, anche nel secondo caso continueremo a farla, anche solo per Essere. È la nostra essenza, il nostro linguaggio. Questo non significa che lo faremmo anche gratis. Mettiamo molta energia nei nostri live e questo presuppone uno scambio, per non cadere in disarmonia. Delle poche, ma preziosissime persone che ci ascoltano, attraverso la loro fondamentale presenza e del “proprietario di casa”, attraverso il denaro, che è un mezzo per continuare a incidere nuova musica. L’ universo si regge sull’ equilibrio del respiro: dare, avere. Le poche persone che ci seguono e ci ascoltano ci danno la possibilità e il privilegio di suonare la nostra musica, energia che prendiamo dall’universo e la concretizziamo in brani, a modo nostro, per liberarla di nuovo nell’ Universo, attraverso i live. Fare musica è un atto sciamanico, è il pubblico a farci esistere come band live e per loro daremo sempre il massimo, con la massima gratitudine e la massima reverenza.

A proposito di atti politici: sul vostro sito è apparso anche un articolo furioso verso la scena musicale indipendente. (http://www.laikavendetta.it/2015/09/un-lusso-che-non-posso-permettermi.html)

Si, è un articolo che ha avuto poca visibilità, ma che, dopo due anni, è ancora attuale e invito tutti a leggerlo. Eravamo stati invitati da un noto festival, che da anni si schiera dalla parte degli indipendenti, a suonare. Soltanto che la serata era in Calabria e non era previsto né rimborso né alloggio. Alcuni di noi dovevano prendersi una giornata di lavoro per poter partecipare, inoltre ci saremmo dovuti pagare l’alloggio, oltre le spese e non potevamo permettercelo. Per quanto l’invito iniziale fosse allettante, ci siamo resi conto che eravamo buttati nella mischia, senza valore. Ne abbiamo parlato con alcune band e, alla fine, noi abbiamo deciso di non far parte di questo meccanismo. Marvin ha scritto un j’accuse lucidissimo che invito di nuovo a leggere, le mie parole lo sminuirebbero.

Sperate però che il nuovo disco trovi un suo posto nella scena musicale indipendente.

A dire il vero non è un nostro problema questo. Non vogliamo farci più aspettative, noi facciamo la nostra musica, che diventa un essere indipendente e fa il suo corso. Sarà il pubblico a decidere cosa farne, come sempre. A volte vado ad ascoltare band underground (perché indipendenti ormai lo siamo tutte ed è bene distinguere underground dai soliti tre nomi che ammorbano “la scena”) nei pochissimi locali che ancora offrono il proprio palco a situazioni che non sono destinate al semplice far ballare la gente. Beh spesso alcune di queste band sono meravigliose, hanno un suono incredibile e creano veri ambienti musicali, con riferimenti culturali, testi maturi. Spesso sono le band che non hanno pubblico. Noi potevamo scegliere di entrare nei meccanismi “indie” e fare gli “alternativi” suonando secondo le regole che il mercato indie impone. Dunque conformarci agli anticonformisti pilotati da un mercato povero. Noi Siamo, facciamo quello che ci piace. Se la nostra musica piacerà, se può essere in qualsiasi modo di beneficio a chi la ascolta, se troverà un suo posto, avrà un suo pubblico, bene! Altrimenti continueremo comunque a fare quello che ci piace, ma sicuramente non faremo ciò che “va”, soltanto perché oggi “va così e se vuoi suonare devi fare così”. Per questo c’è il lavoro, con i suoi meccanismi sociali e “civili”. La libera espressione è un’altra cosa e non si può sicuramente piacere a tutti, a molti, a volte neanche a pochi. A noi fa bene suonare, esprimerci, giocare, creare, perché rinunciare a questa gioia? A me non interessa essere accattivante, non voglio vendere niente, a me interessa essere il più possibile fedele a me stesso. So che può suonare banale, ma tant’è e non è per niente facile.

ph. Flavia Eleonora Tullio

Qualcuno dei vostri fan vi ha chiesto cosa stava accadendo in questo periodo?

Si, molte volte. Voglio ringraziarli ad uno ad uno perché quando ho dovuto affrontare l’operazione mi hanno fatto sentire davvero amato e importante. Ho provato una gratitudine infinita. Alcuni ci hanno chiesto se la band fosse sciolta quando hanno visto che Marcos aveva messo su un nuovo progetto personale (“Normale”). Io, che sono molto geloso dei miei compagni di squadra, volevo dire Si! Haha ma ho dovuto superarlo, il possesso è un’illusione e un limite. Infatti questo mi ha dato l’occasione di reagire, sperimentandomi, finalmente. Ho suonato anch’io, suonato, oltre che cantato, tantissimo e con molte persone diverse. Ho giocato con la musica. Questo ovviamente è stato un punto a favore, che ha portato molta linfa nei nuovi brani. Abbiamo sfogato, e sfoghiamo, quello che ognuno non può avere da questo progetto, che è di cinque persone e presuppone dei compromessi. La verità è che, lontani dai live, stavamo impazzendo e ci siamo aperti anche a nuove strade.

Cosa c’è da aspettarsi dal vostro ritorno?

Ce lo chiediamo anche noi! E siamo curiosi di scoprirci, nuovi, con qualcosa del passato ancora addosso, forse completamente cambiati. Non eravamo così lontani dai live da quando eravamo ragazzini. Per me è davvero un viaggio di scoperta tornare a suonare. Sul palco riesco a contattare parti di me che nella quotidianità non riesco. È come se vivesse, al posto mio, un Emidio bis o la mia ombra. Sono curioso di sapere se è invecchiato, se è cambiato. Credo che anche per gli altri sia così. Nella vita siamo troppo buoni, sul palco (beh, non solo sul palco!) ci permettiamo qualcosina in più. Quindi siamo curiosi di riscoprirci. Già dai brani che stiamo ultimando incontriamo nuovi, inediti, aspetti di noi. E spero che potranno coglierli anche i nostri amici che ci sostengono.

C’è qualcosa che volete aggiungere a questa intervista?

Si, grazie! Una volta parlavo con il batterista di una band, molto nota nell’ambiente metal underground. Questo ragazzo si lamentava delle situazioni musicali di cui ho appena parlato. Sempre più band “indie” simulano Vasco Rossi e le ritroviamo in radio. È una loro scelta. Ognuno fa quello che vuole. Questo sicuramente non è il trionfo dell’indie sul mercato, come pensano in molti, perché per entrare nel mercato queste band hanno smesso di fare musica non convenzionale, si sono conformati. E hanno cominciato a parlare con il linguaggio che la società mainstream vuole. Se vai nel territorio nemico, lui vince, perché lo conosce meglio di te. Ma va bene così! Sono scelte! Scelte, come quella di fare musica non convenzionale. Ma è una scelta consapevole? Non puoi decidere di fare musica non convenzionale e pretendere di avere una gran fetta di pubblico. E rimanerci male se sono in pochi sotto il palco. Hai scelto di fare musica non convenzionale! Ma se il tuo bisogno cambia, se vuoi arrivare a più persone, allora ci sono i compromessi con la società da fare. Lui mi chiedeva come le band underground potessero sostenersi a vicenda. Io ho risposto: così come sono spariti gli antichi dei! Smettendo di crederci, ignorandoli. Così smettiamo di criticare l’ultima hit di quella band, o le band indie che “vanno di moda”, ignoriamoli proprio, pensiamo a quello che facciamo noi, decidiamo a chi dare attenzione, tutto è necessario, tutti sono necessari. In generale smettiamo di fare gli orfanelli traditi che giudicano, criticano e si lamentano. Usciamo da questi meccanismi di invidia, di ingiustizia. Svegliamoci, disturbiamo i nostri neuroni, diventiamo esseri coscienti e consapevoli, non vegetiamo nella veglia apparente. Siamo musicisti ma anche pubblico. Il cambiamento parte sempre dal primo che si sveglia e aiuta gli altri a svegliarsi, se lo vogliono. E agisce! Anche di questo parlerà il nostro nuovo disco. Ok ho finito, grazie per questa occasione, a presto!

 

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